Naja Militare

Naja militare: come si è evoluta la leva militare obbligatoria

Marco d'AveniaAltre Notizie

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La naja militare fa riferimento alla vita in caserma. In questo articolo ricostruiremo la storia della leva militare obbligatoria in Italia

 


La naja militare è un termine che spesso genera confusione. Quando si utilizzano queste parole, infatti, sembra che non ci sia una lettura precisa del loro significato. Tanti ragazzi ci scrivono chiedendo chiarezza su questo argomento, che si collega alla leva militare obbligatoria, ormai superata nel nostro ordinamento giuridico. In questo articolo cercheremo di capire a cosa ci si riferisce con naja militare e di ricostruire la storia del servizio militare obbligatorio in Italia.

 

 

Naja militare: l’origine del termine e la leva militare obbligatoria

Con il termine “naia” (o “naja”) si intende la vita e il servizio militare, con particolare riferimento a tutti quegli aspetti più gravosi e più difficoltosi a livello fisico. Il vocabolo deriva dal friulano “naie”, a sua volta tratto dal veneto antico “naia”, che significa “razza, genìa”.

Quando nacque il Regno d’Italia, l’Esercito Italiano prevedeva la leva militare obbligatoria. Fu così che il termine naja iniziò a indicare proprio l’obbligo di servire il Paese una volta raggiunti i 17 anni. Dopo la riforma del 2004, il significato di naja militare si restrinse fino a indicare la vita da caserma e non più l’obbligo militare.

Il concetto di servizio militare obbligatorio emerse durante la Rivoluzione Francese, con l’obiettivo di sottrarre il monopolio della violenza ai nobili e attribuirlo alla popolazione maschile e adulta. Lo scopo del nuovo corso era quello di instillare nella coscienza del cittadino (non più suddito) il senso del dovere nei confronti della difesa della patria. Prima della naja militare, infatti, l’esercito era costituito perlopiù da mercenari – spesso stranieri – pronti a offrire la loro spada al miglior offerente.
 
naja militare

Leva militare obbligatoria in Italia: dal 1863 alla Prima Guerra Mondiale

Il principio dell’obbligo militare venne ripreso dall’Italia unita, che indisse una coscrizione obbligatoria per chi aveva compiuto i 17 anni (1863). Cavilli burocratici e corruzione, tuttavia, permisero ai figli dei notabili e dei ricchi borghesi di eludere la leva militare obbligatoria. Questo fece sì che inizialmente sotto le armi passassero esclusivamente i membri del ceto basso con un livello di istruzione pressocché inesistente. Da qui il doppio ruolo che rivestiva l’Esercito Italiano: da un lato garantiva la difesa dello Stato, dall’altro ricopriva però una funzione pedagogica importantissima.

Nelle scuole reggimentali vennero infatti organizzati corsi di alfabetizzazione primaria, al fine di insegnare a leggere e a scrivere. Inoltre, i coscritti erano convocati per un lasso di tempo lungo cinque anni in caserme fuori dalla propria regione di appartenenza, così da lasciare le proprie terre e mescolarsi con gli altri italiani.

All’inizio del Novecento l’obbligo militare era ormai un meccanismo collaudato e i soldati italiani erano pronti ad affrontare il battesimo del fuoco: la guerra di Libia (1911). Fu però la Prima Guerra Mondiale a mettere alla prova l’Italia intera. Per la Grande Guerra, infatti, venne mobilitato l’80% della popolazione maschile in età militare. Questo si tradusse in un afflusso al fronte di oltre 5 milioni di soldati e 200mila ufficiali.

Sulle rive del Piave, dopo la disfatta di Caporetto, migliaia di soldati ritrovarono – forse per la prima volta dai tempi del Risorgimento – un genuino senso patriottico. Questo fu fondamentale nelle successive battaglie del Solstizio e di Vittorio Veneto, che consentirono all’Italia di uscire vittoriosa dalla Prima Guerra Mondiale.

Servizio militare obbligatorio: l’era del Fascismo

Nel passaggio dall’Italia liberale al ventennio fascista il significato della parola “soldato” cambiò radicalmente. Da cittadino educato all’uso delle armi, l’italiano del regime si trasformò in guerriero nazionalista. La militarizzazione della popolazione era infatti uno dei principi cardine del fascismo.

Il 28 dicembre 1922, pochi mesi dopo la Marcia su Roma, il Gran Consiglio del Fascismo decretò la nascita della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Alla Milizia potevano accedere tutti i maschi dai 17 ai 50 anni iscritti al Partito Nazionale Fascista (PNF).

Questo aspetto creò attrito fra Mussolini e le gerarchie militari. I membri delle camicie nere, infatti, promettevano fedeltà al Duce e non all’Italia, rendendosi indipendenti da ogni controllo al di fuori del PNF. Nel 1924, però, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale venne istituzionalizzata. Da quel momento, il giuramento incluse anche il re, mentre gli ufficiali dovevano necessariamente provenire dai quadri delle Forze Armate. Viceversa, in caso di guerra, la Milizia doveva confluire nell’Esercito.

 

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Naja militare: dalla Seconda Guerra Mondiale alla Repubblica

La propaganda fascista vantava un livello di addestramento alto, tuttavia lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rivelò la realtà dei fatti. Mentre nel 1918 l’Esercito Italiano era uno dei primi eserciti al mondo, alla vigilia del 1939 l’Italia era considerata una potenza di medio livello sul piano militare. Al di là della retorica mussoliniana, infatti, il fascismo non si curò di formare una leadership militare forte. Anzi, uno dei primi provvedimenti del Governo Mussolini fu quello di tagliare la spesa bellica.

Dopo le elezioni del 1946 e il passaggio dalla monarchia alla repubblica, l’Italia decise di mantenere la naja militare. Nell’articolo 52 della Costituzione si legge infatti che la “difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Inoltre, la Carta ricorda che il “servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.
 
Leva militare obbligatoria

Dalle proteste pacifiste e alla riforma del 2004

Il sistema resse per qualche decennio, finché tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, iniziò a farsi strada tra gli studenti e gli operai l’ideale del pacifismo. La naja militare cominciò quindi a essere messa in discussione. Nel 1972 venne emanata la legge che disciplinava l’obiezione di coscienza e il servizio civile universale. Tre anni dopo, il periodo di ferma venne ridotto: 12 mesi per Esercito e Aeronautica Militare e 18 mesi per la Marina.

Con la fine della Guerra Fredda, l’idea di un esercito di massa andava via via perdendo la sua ragione d’essere. In tutti i paesi europei si riduceva l’apparato militare, mentre la Francia nel 1997 abolì la leva militare obbligatoria. Nello stesso anno il Parlamento italiano votò per un’ulteriore riduzione della naja militare: 10 mesi.

Nell’agosto del 2004 venne varata la riforma che prevedeva un reclutamento volontario: la leva militare obbligatoria in Italia veniva sospesa. Il governo Berlusconi II, varando la legge 23 agosto 2004 n. 226, infatti, fissava la sospensione delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1° gennaio 2005. Il dibattito sulla sospensione dell’obbligo militare ha visto partecipare molti intellettuali, politici e cittadini comuni: alcuni erano a favore, altri si sono dimostrati contrari. Il dato di fatto è però che l’Italia è ora allineata con i massimi standard imposti dalla NATO e possiede uno fra gli eserciti più efficienti al mondo.

Cosa ha comportato la sospensione della leva militare obbligatoria in Italia?

Dal 2004 quindi le Forze Armate sono passate al professionismo, innescando grandi cambiamenti all’interno del mondo della Difesa. Innanzitutto, con il tramonto della leva militare obbligatoria si è assistito a una graduale disaffezione dei giovani nei confronti della carriera militare. Il ministero della Difesa, appena si è sospesa la leva obbligatoria, è corso ai ripari istituendo due nuove figure: il Volontario in Ferma Prefissata annuale (VFP1) e il Volontario in Ferma Prefissata quadriennale (VFP4). Queste due diciture andranno però a scomparire nel prossimo futuro, sostituite rispettivamente dal Volontario in Ferma Iniziale (VFI) e dal Volontario in Ferma Triennale (VFT).

Noi di Nissolino Corsi abbiamo toccato con mano questo distacco che vivono i giovani, che non percepiscono più i concorsi banditi dalle Forze Armate come una concreta possibilità di fare carriera. D’altro canto, assistiamo però a un graduale aumento dei posti messi a concorso. Questo dovrebbe incoraggiarti ad arruolarti nelle Forze Armate, visto che rappresentano sempre un porto sicuro per chi ama il proprio Paese e vorrebbe per sé e la propria famiglia un futuro sereno dal punto di vista economico.

 

 

Naja militare: il ruolo delle donne fino al 1919

Giunti a questo punto una domanda potrebbe sorgere spontanea. E le donne? L’ambiente militare è noto per esaltare il vigore e la disciplina. Due aspetti che – erroneamente – non venivano attribuiti al sesso femminile, sempre bersaglio di pregiudizi atavici, specie nel contesto della naja militare. L’inserimento delle donne nella società civile è stato un percorso a ostacoli. Prima del Novecento, a nessuna donna italiana era infatti consentito di ricoprire alcun incarico pubblico.

Solo nel 1875 arrivò la legge che autorizzava l’accesso femminile ai licei e alle università. Nel 1883 Lidia Poët, interpretata da Matilda De Angelis nella fortunata serie “La legge di Lidia Poët”, diventò la prima donna iscritta all’Ordine degli Avvocati.

La vera svolta arrivò durante la Prima Guerra Mondiale, quando furono proprio le donne a fungere da motore del Paese svolgendo di fatto il lavoro dei mariti impegnati ad adempiere alla leva militare obbligatoria. Il re Vittorio Emanuele III non poté ignorare questo enorme contributo alla causa nazionale e, nel 1919, emanò una legge che ammetteva le donne “a pari titolo degli uomini” a “esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici”. Rimanevano però esclusi tutti quegli incarichi che implicavano “poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche”, o che attenevano “alla difesa militare dello Stato”. Quindi ancora niente Divisa per le donne.
 
Servizio militare obbligatorio

Dal 1946 ai primi reclutamenti

Con la fine del fascismo e l’avvento della Repubblica, le donne acquisirono il diritto di voto. La carriera militare rimaneva però un miraggio. Uno spiraglio si aprì nel 1963 con la legge n. 66 del. 9 febbraio, che sanciva l’accesso delle donne a tutte le cariche compresa la magistratura.

Una pietra miliare sulla via dell’accesso delle donne alle carriere in Divisa fu invece posta con la legge n. 121 del 1981. Questa andava infatti a smilitarizzare Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato, che divennero a tutti gli effetti forze a ordinamento civile per civili. Una delle prime donne a entrare nella P.S. fu Emanuela Loi, agente di origine sarda, che perse la vita nell’attentato di via D’Amelio a Palermo, in cui venne ucciso Paolo Borsellino (19 luglio 1992).

Solo nel 1997 fu approvata l’istituzione del servizio militare volontario femminile, mentre due anni dopo la legge 380/99 permise alle donne di entrare a tutti gli effetti nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza. I primi bandi di concorso per le Accademie Militari che coinvolgevano le ragazze videro la luce il 4 gennaio 2000, ma prevedevano l’ammissione di sole 20 donne su 100 candidati. A sollecitare il reclutamento femminile nei ruoli della truppa a partire già dal 2000, fu il Presidente della Commissione Difesa della Camera, Valdo Spini, primo firmatario del disegno di legge sulle donne militari. Fondamentale fu l’intervento dell’allora Ministro della Difesa pro-tempore, Sergio Mattarella, oggi Capo dello Stato. Le FF.AA. non fanno ora alcuna distinzione tra uomo e donna.

 

 

La naja militare tornerà? Cosa dice la legge

Dal 2004, la leva militare obbligatoria non ha smesso di creare dibattito politico. Tra le forze politiche oggi al governo, c’è chi vuole ripristinarla, magari rendendola più breve. Tuttavia, c’è una precisazione di fondo che va fatta: il servizio militare obbligatorio in Italia non è abolito, ma solo sospeso.

In questi casi, è necessario tornare alla fonte del diritto, ovvero la Costituzione italiana. Riprendendo l’articolo 52 della Carta, ricordiamo infatti che “difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. La naja militare potrebbe dunque tornare? La risposta è e c’è una legge che disciplina questi casi. È la numero 331 del 14 novembre 2000, che all’articolo 2, comma 1, lettera f, prevede “personale da reclutare su base obbligatoria” esclusivamente se:

  • viene deliberato lo stato di guerra;
  • una grave crisi internazionale nella quale l’Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza a un’organizzazione internazionale giustifichi un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.



La leva militare obbligatoria scatta però solo se il personale in servizio non sia sufficiente a fronteggiare la situazione e qualora neanche i riservisti con un tempo di congedo inferiore a cinque anni riuscissero a colmare questa mancanza di soldati.

Ritorno della leva militare obbligatoria: i due casi

Esaminiamo questi due scenari: il primo fa riferimento allo stato di guerra. Quest’ultimo è regolato dall’art. 78 della Costituzione, che recita: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”. Il compito di dichiarare l’inizio delle operazioni belliche spetta al Presidente della Repubblica, che ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa (art. 87).

Più intricata è invece la seconda ipotesi, che fa riferimento alle crisi internazionali che potrebbero coinvolgere direttamente il Paese oppure che lo interessino in ragione della sua appartenenza a un’organizzazione internazionale. Questo scenario è però riconducibile alla situazione geopolitica attuale. Il 24 febbraio 2022, infatti, la Federazione russa ha dato inizio all’invasione su larga scala dell’Ucraina, nel tentativo di assoggettarla. Se Kiev capitolasse e Mosca annettesse tutti i suoi territori, i chilometri di confine tra NATO e la Russia aumenterebbero sensibilmente, esponendo l’alleanza atlantica a un potenziale attacco.

Addentrandosi ancor più nel campo delle ipotesi, se Vladimir Putin decidesse di attaccare un paese NATO, allora scatterebbe l’articolo 5 del Trattato. Questo prevede anche l’utilizzo delle armi qualora vi sia un’aggressione nei confronti di uno o più paesi dell’Europa o dell’America Settentrionale. Questo principio viene ribadito anche nell’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, che consente l’esercizio della legittima difesa, individuale o collettiva.

In questo secondo caso, il servizio militare obbligatorio avrebbe una durata di 10 mesi, prorogabili unicamente in caso di deliberazione dello stato di guerra. In entrambe le circostanze, però, una cosa non cambierebbe: non possono essere richiamati in servizio gli appartenenti alle Forze di Polizia ad ordinamento civile e al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.




Dalla cartolina rosa ai giorni nostri: cosa significa la naja militare?

Dopo questo lungo viaggio all’interno del mondo della naja militare, possiamo trarre alcune conclusioni. Il Regno d’Italia, dalla sua proclamazione al fascismo, ha utilizzato questo regime di coscrizione non tanto per formare soldati da schierare al fronte, quanto per creare un senso di unità nazionale e per educare i propri sudditi all’amor di patria. Sotto il Ventennio, questo significato si è esasperato, fino alla totale identificazione dello Stato con la forza militare. Dopo la Liberazione, il concetto pedagogico e didattico dietro la naja militare è andato via via perdendosi fino alla sospensione del servizio militare obbligatorio.

Nell’immaginario degli italiani è però rimasta l’odiata e amata cartolina rosa, che annunciava la convocazione per la naja militare. Per tanti significava infatti lasciarsi alle spalle tutti gli affetti più cari oppure dire addio a un amore appena sbocciato, come cantava Claudio Baglioni nel suo brano intitolato proprio “Cartolina Rosa”, inserito nel leggendario album “Questo Piccolo Grande Amore” (1972). Per tanti altri, invece, l’obbligo militare consisteva nell’opportunità di poter viaggiare, conoscere altre persone e uscire da una condizione di arretratezza.

Oggi, la naja militare, fa riferimento alla vita da caserma e non più all’obbligo di trascorrere un determinato periodo di tempo sotto le armi. Ogni cittadino, tuttavia, deve conservare gelosamente dentro di sé il senso del dovere nel difendere la Patria in caso ce ne fosse bisogno. Con i moderni armamenti oggi in circolazione, tra cui gli ordigni nucleari, il ripristino della leva militare obbligatoria scatterebbe nell’ambito di uno scenario quasi apocalittico. Una circostanza che nessuno di noi si augurerebbe mai di vivere.

 

 

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